Qui dove il mare luccica….lì dove c’è lavoro
Ieri: nelle scuole italiane degli anni 80/90 molti temi vertevano sul consumismo; gli italiani avevano un lavoro, compravano la casa di proprietà, spendevano per beni materiali a piacimento e mettevano da parte i soldi in banca. Si spendeva molto, conseguentemente si produceva tanto e gli italiani avevano da che lavorare. Il made in Italy volava all’estero e la bilancia commerciale era positiva. Oggi: i giovani italiani devono fare i conti con la cocente e decennale crisi economica. Chiusure aziendali, fughe verso l’estero, stanno via via riducendo il tessuto industriale italiano in una palude spettrale. La migrazione che investe le nuove generazioni, tenendo conto del cambiamento delle congiunture politiche, economiche e sociali, varca i confini alpini; il tasso di disoccupazione in Italia, il secondo più alto della zona euro, spinge ed alimenta sempre più l’ondata migratoria verso l’Europa. Alla ricerca del posto di lavoro si aggiunge la necessità trasformare in “atto” le conoscenze ottenute da anni di studi universitari e dei master sostenuti; il tasso culturale è cresciuto molto ma in maniera inversamente proporzionale alla capacità di assorbimento del mercato del lavoro. Paradossalmente ci sono aziende che ricercano senza fortuna operai specializzati, mentre giovani laureati non trovano il lavoro che coroni i propri studi. Il fenomeno della fuga dei cervelli riguarda prevalentemente ragazzi fra i 18 ed i 34 anni di età che rappresentano un terzo degli Italiani all’estero. Le mete più gettonate sono Inghilterra, Spagna, Brasile ed Argentina, ma molti decidono di trasferirsi anche in Paesi in forte sviluppo quali l’India, gli Emirati Arabi ed il Sud Africa. La maggior parte dei laureati che decidono di trasferirsi all’estero ha frequentato facoltà scientifiche oppure Lingue, ha raggiunto la laurea con il massimo dei voti (spesso con lode) ed ha partecipato al progetto Erasmus