MELITO, LA “NUOVA DESTRA” A TRAZIONE TRASFORMISTICA CHE RICORDA I “SETTE PUTTANI” DI ALBERTO GIOVANNINI
Fratelli d’Italia a Melito, cambia pelle. Grazie a una squallida operazione trasformistica, avallata da un pool di colonnelli “badogliani” del partito di Giorgia Meloni che hanno accolto-a braccia aperte- nelle liste, politici melitesi distanti anni luce dal mondo della destra, mortificando gli storici militanti della destra post-almirantiana. Tutto verrà definito, a quanto sembra, nelle prossime ore. La vicenda mi riporta ad un editoriale cult della storia del giornalismo (non solo) napoletano.
In un memorabile editoriale dal titolo «I 7 Puttani», il direttore del Roma, Alberto Giovannini, bollò a sangue i sette «traditori» del partito del Comandante Achille Lauro, il Pdium, che stavano per annunciare il passaggio alla Democrazia Cristiana, una operazione trasformistica in piena regola messa in atto con la tecnica del doppio binario: da una parte i «puttani» tramavano con la famiglia Gava continuando a giurare e a spergiurare che mai si sarebbero macchiati di tanta infamità — uno dei 7 messi alla gogna, Giuseppe Muscariello, arrivò perfino ad inginocchiarsi ai piedi del vecchio leader annunciandogli fedeltà eterna — dall’altra offrivano i loro voti sancendo il crollo della breve stagione politica del sindaco Achille Lauro, il comandante dalle sette vite (proprietario di quotidiani, della squadra di calcio del Napoli al tempo di Sivori e leader di una Flotta che fece preoccupare perfino Benito Mussolini, il quale disse: «Quel pittoresco uomo di mare sta diventando un pesce troppo grosso»), che vedeva cadere a pezzi il suo impero e sentiva di non avere più scarpe e pacchi di pasta da regalare alla plebe osannante.
O di strappare a metà la banconota da diecimila lire: metà prima del voto, l’altra dopo, come usava anche Totò con i camerieri dell’Excelsior.
Lauro era alle corde, non era riuscito a trovare alcun giovamento dalla direzione del Pdium (Partito democratico di unità monarchica) nato sulle macerie del rapporto di odio/amore con Alfredo Covelli, l’altro leader della destra monarchica calato a Napoli da un paesino della provincia irpina, Bonito. E sentiva il terreno mancargli sotto i piedi. Alla guida della Dc c’era ancora Silvio Gava, padre, maestro ed ispiratore del primogenito Antonio che, di lì a poco, avrebbe raccolto lo scettro del comando.
Lo scandalo dei «7 puttani» esplode nella primavera del 1961. L’articolo fu violentissimo ed ebbe vastissima eco in Italia e negli ambienti della destra europea. A conferma della popolarità di Giovannini che — chiamato da Giorgio Almirante — si era formato nella redazione de , il giornale del fascio bolognese e del Movimento Sociale. Poi venne la parentesi napoletana e la scoperta del malaffare politico in salsa partenopea. Per calarsi compiutamente nell’atmosfera che precedette il «tradimento» è giusto ricordare un particolare: ad «arruolare» i transfughi fu l’onorevole Foschini che il salto del fosso lo aveva già fatto schierandosi nei banchi degli «indipendenti», in attesa di formare quel gruppetto che avrebbe disarcionato il vecchio bucaniere.
I «puttani» fecero il miracolo e Giovannini li indicò al pubblico ludibrio: «…. Essi che andarono a Lauro e all’ideale monarchico quando l’uomo e l’ideale sembravano marciare con il vento in poppa guidati dall’istinto che guida i polli verso il becchime e i topi verso il formaggio, oggi vanno alla Democrazia cristiana nella precisa convinzione di trovare più facile becchime e più abbondante formaggio». E così il piatto fu servito. Per completare la storia mancano solo i nomi dei protagonisti della storia, eccoli: Corrado Arenare, Ugo Cozzolino, Vincenzo Cito, Filippo dell’Agli, Giuseppe Del Barone — il più noto con Foschini — Giuseppe Muscariello e Luigi Wolf. Poca roba allora. Pochissima oggi.
Marcello Curzio