Lavoro nero, morti bianche
Lavoro nero, morti bianche
di Vincenzo D’Anna*
Certamente celebre, ancor più certamente inattuata, resta la frase di Massimo d’Azeglio, politico, patriota e scrittore piemontese, all’indomani della raggiunta unità nazionale: “Fatta l’Italia ora bisogna fare gli italiani”. Ebbene, ad oltre un secolo e mezzo dai “fatti” del Risorgimento il grande problema del Mezzogiorno continua a rimanere inevaso gravando sulle sorti economiche e sociali dello Stivale. Gli indicatori del benessere continuano, infatti, a far registrare un’intollerabile disparità di condizioni tra il Nord ed il Sud del Belpaese, tra la parte che produce più ricchezza e quella che da sempre invoca sussidi e lavoro allo Stato. Quest’ultimo, tra l’altro, ha varato una carta costituzionale che esordisce, al primo articolo, con l’espressione piuttosto singolare, se non demagogica: “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro” facendo assumere agli apparati centrali il dovere – del tutto improprio – di provvedere a che tutti i cittadini possano contare su quella istituzione per poter trovare un’occupazione che sia presupposto della condizione di benessere. Nel successivo articolo 3 la “Magna Carta” rincara il gravame di responsabilità in capo allo Stato: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Il combinato disposto dei due articoli testé citati, configura insomma per lo Stato un dovere che va oltre quelli che sarebbero i compiti razionali e possibili che pure il medesimo sarebbe chiamato ad assumere nei confronti dei cittadini ( infrastrutture, bassa tassazione, scuole, trasporti, sanità, sicurezza). Per dirla con altre parole, quei diritti di cui sono titolari gli italiani, stando alla madre di tutte le leggi, dovrebbero essere garantiti ed assicurati direttamente…dall’intervento statale!! Non più dunque attraverso azioni di carattere generale tese a favorire le condizioni per la massima occupazione, bensì attraverso la responsabilità diretta dell’autorità centrale che, stando a quanto messo nero su bianco, dovrebbe farsi carico di assicurare, in maniera concreta, ad ognuno di noi un bel posto di lavoro!! Da un dovere impersonale ed a carattere generale si passa così ad un dovere diretto, ad una preoccupazione vincolante per lo Stato. Una dichiarazione certo “populistica” ed un onere concreto difficilmente attuabile laddove esistano condizioni oggettive di difficoltà socio-economiche che possano favorire la piena occupazione. Ne consegue che il cittadino spesso si ritrova a rivendicare, come diritto personale, l’ottenimento di un posto di lavoro da parte dello Stato perlopiù inteso come “posto statale”, vale a dire posto fisso, garantito in eterno e che prescinda da ogni altro tipo di valutazione. Ebbene: uno Stato che ai suoi albori di Repubblica si permette tale lusso non può che deludere le aspettative che queste suscitano, men che meno uno Stato come il nostro ancora lontano dall’aver sanato la piaga apertasi con le guerre di indipendenza che, con l’annessione forzosa del Regno delle Due Sicilie, provocarono lo spoliamento del Sud a vantaggio del Nord, con il trasferimento forzoso di tutto l’apparato industriale oltre che dell’enorme tesoro in lingotti d’oro che l’allora Banco di Sicilia conteneva e che fu depredato da Garibaldi (oltre quattrocento milioni di vecchie lire. Una cifra enorme per quei tempi). Un ulteriore dato eloquente ci arriva dall’entità del fenomeno migratorio italiano che guarda caso, ebbe inizio proprio a partire da quegli anni: ben cinquanta milioni di meridionali emigrarono, nel giro di poco meno di un secolo, per cercare lavoro, non solo in Europa ma anche Oltreoceano!! Ora, a leggere le statistiche odierne non sembra essere cambiato granché sotto quel profilo: lo rileva l’Eurostat certificando il tasso di occupazione dell’Ue nel complesso al 75,3%. Pensate: se nella regione polacca di Varsavia si osserva un tasso più alto rispetto a quello dello scorso anno (pari all’86,5%), in ben tre regioni italiane, ovviamente tutte del Mezzogiorno, risulta occupata meno della metà della popolazione in età lavorativa!! Calabria, Campania (entrambe con un tasso del 48,4%) e Sicilia (48,7%). All’Italia insomma tocca il dato statistico più scomodo, quello che le assegna il primato delle disparità regionali più elevate, con un coefficiente di variazione del 16% tra i territori del Settentrione e quelli del Sud contro una media europea attestata intorno all’8%. Il governo Meloni mena vanto di aver abbassato gli indici di disoccupazione ed ha ben motivo di farlo, tuttavia innanzi a tali secolari disparità credo occorra ben altro. Quello che ci può consolare semmai è che la percentuale dell’economia sommersa (e del lavoro nero) è ben più alta rispetto a quello che si stimi perché con quelle percentuali di disoccupazione la metà dei cittadini del Sud sarebbe indigente!! Quello che invece è certo ed equilibrato, ahinoi, è il dato delle “morti bianche” sul lavoro. Una beffa ben più amara del danno!!
*già parlamentare