Iran – USA: una partita a favore di Israele
Oggi il mondo osserva una gara muscolare tra Iran e Stati Uniti che in realtà nasce e deflagra dai rapporti tesi fra Israele e la Repubblica islamica sciita. La figura centrale di riferimento nella politica estera iraniana è rappresentata dall’ayatollah Ali Khamenei, la cui carica di Guida Suprema del Paese gli conferisce il vero potere decisionale del Paese. Khamenei si distingue fin dall’inizio del mandato con una politica anti-occidentale e di ricerca della supremazia dell’Iran nel Medio Oriente. Collassato il regime di Saddam Hussein, rivale storico e nemico giurato degli sciiti e sopraggiunta, più recentemente, la grave crisi interna della Siria con la rivolta civile e l’avanzamento dell’ISIS nell’area regionale interessata, l’Iran ha prepotentemente bramato l’idea di imporre la propria influenza fin sulle sponde del Mediterraneo. Un piano così arditamente progettato ha nella pratica un grande ostacolo, lo stato d’Israele e, in questo senso, Khamenei non ha davvero mai nascosto il sogno della sua totale distruzione. Da parte israeliana si è intravista la possibilità che l’intera area rispondesse all’unico player sciita filo iraniano, adoperandosi fattivamente sul terreno con azioni di contrasto sia in territorio siriano, sia libanese quanto iracheno. L’uscita degli USA dall’accordo sul nucleare nel 2015 e ed il ritiro delle proprie truppe dal territorio siriano a gennaio di quest’anno hanno provveduto ad innalzare il livello di tensione tra i due Paesi. In questo panorama ben delineato di forze in campo, Benjamin Netanyahu sul fronte interno non riesce più a catalizzare su di sé il consenso popolare. Israele in un anno ha già tornata tre volte alle urne e presto vi tornerà. Un governo forte e stabile oggi è un’utopia, visto lo stallo politico. Nuovi consensi potranno essere trovati solo in forza ad un’unità patriottica derivante dalla minaccia esterna. E’ da sempre risaputo che gli israeliani, pur con idee e visioni differenti, si ricompattano in una sola voce quando si sentono in pericolo da forze straniere. Parallelamente, Donald Trump ha la necessità della riconferma alle prossime presidenziali americane e, tra le componenti su cui basa gran parte del suo consenso, le lobbies ebraiche statunitensi avranno di sicuro un gran peso per la rielezione. In questo scenario, gli interessi ebraici si intrecciano con quelli americani e, persino, con quelli dei sunniti sauditi, da sempre gran nemico di Israele ma da un po’ di tempo nuovo forte alleato contro l’ostacolo sciita iraniano. I venti di guerra, allora, alla luce di quanto detto, servono a tutti player oggi sul campo per ottenere paradossalmente più forza al proprio interno che una vera egemonia in Medio Oriente.
Lucia Fontanarosa