Il paese dell’Azzeccagarbugli
Il paese dell’Azzeccagarbugli
di Vincenzo D’Anna*
Chi non ricorda l’avvocato “Azzeccagarbugli”, celebre personaggio di fantasia dei “Promessi Sposi”, creato dalla fertile penna di Alessandro Manzoni? Il leguleio di Lecco era “un uomo alto, magro, pelato, col naso rosso e una macchia color lampone su una guancia” lo descrive lo scrittore meneghino. Fu a lui che Renzo, il protagonista del romanzo, provò a rivolgersi per dipanare la matassa e venir fuori dagli ostacoli che si frapponevano alla celebrazione del suo matrimonio con l’amata Lucia. “Don Lisander”, come i milanesi chiamavano Manzoni, avrebbe in seguito descritto anche le foggia dello studio di quel presunto “grande legale”: il subbuglio ed il disordine che vi regnavano sovrani insieme con le “grida”, ossia le leggi e le disposizioni vigenti in quell’epoca (il romanzo è ambientato tra il 1628 e il 1630), accatastate alla rinfusa e pronte all’uso in base alla necessità che il caso di specie sottoponeva all’attenzione del legale. Fu così che quando l’avvocato ebbe compreso che Renzo non era affatto un “bravo”, vale a dire un uomo di “malavita” al servizio del tracotante signorotto di turno, magari bisognoso di trovar riparo, dietro una delle tante “grida”, ai propri misfatti, si defilò come meglio potette dall’assumerne la difesa. E poco importava che quel “povero cristo” fosse angariato ed osteggiato dagli scagnozzi di don Rodrigo!! Ora, quantunque inventata, la figura dell’Azzeccagarbugli ha continuato ad esistere così come pervicace e duratura è sopravvissuta, nel nostro Paese, l’idea di una giustizia piegata alle convenienze politiche del momento, che si plasma per combaciare con la parte che maggiormente vi spadroneggia. Ne è passata di acqua sotto i ponti nei quattro secoli che ci separano dall’epoca di quei fatti romanzati, ma un fondo di verità rimane. Persiste come antico retaggio culturale di una concezione della legge che diversamente si atteggia a seconda dei casi, quasi sempre per saltare sul carro del più forte. Insomma, siamo vittime di una pratica che si allontana dai fatti salienti che connotano il caso giuridico, dalla serena aderenza al sentimento di giustizia che muove sia l’azione dei magistrati sia la difesa che tocca agli avvocati. A cercar bene, una grida manzoniana – tra le tante – la si trova sempre per dare sostegno e forza anche alle tesi più furbe e vantaggiose da sostenere. Fosse anche per mera partigianeria. Ed è esattamente quello che sta accadendo in questi giorni nella battaglia a suon di carte bollate e denunce che taluni avvocati hanno ingaggiato presso le competenti procure sul caso della scarcerazione e del rimpatrio forzoso del generale libico Nijeem Osama Almasri, allo scopo di dare sostegno alle tesi politiche delle opposizioni parlamentari. A dare fuoco alle polveri è stato, per primo, l’avvocato Li Gotti, già sottosegretario in quota Italia dei Valori (Di Pietro), nel governo di Romano Prodi ai tempi dell’Ulivo. In qualità di cittadino, l’avvocato di Crotone ha ritenuto responsabile del rilascio di Almasri l’inerzia con la quale il Guardasigilli Carlo Nordio ha trattato la richiesta di arresto ed estradizione che la corte europea aveva formulato all’esponente dell’esecutivo di governo per il trattenimento del “ricercato” libico. Per la Meloni, invece, è stata presentata una denuncia per omissione ed abuso di atti d’ufficio. Tuttavia la questione ha suscitato anche altre reazioni. Chiaramente di segno opposto. Il Dipartimento che tutela la sicurezza dello Stato (Dis), infatti, a sua volta, ha sporto denuncia in quel di Perugia (procura competente per i magistrati in servizio a Roma), contro il procuratore della Repubblica Lo Voi – lo stesso che ha proceduto contro Meloni e Nordio (oltre che contro Piantedosi e Mantovano) – per aver reso pubbliche le informative inerenti l’affaire Almasri, che pure erano coperte da segreto, violando, in tal modo, la sicurezza e gli interessi dello Stato. A rincarare la dose è arrivato pure l’esposto dell’avv. Luigi Mele che ha denunciato Li Gotti per calunnia e vilipendio dello Stato e dei suoi organi istituzionali. Insomma: oltre alla cagnara che da giorni sta paralizzando il Parlamento per le reiterate intemperanze delle minoranze che chiedono alla premier Meloni di riferire personalmente in Aula – ancorché lo abbiano già fatto i ministri Nordio e Piantedosi insieme con il sottosegretario Mantovano – ecco innescarsi la…guerra degli avvocati!! Ciascun esposto invoca la violazione di norme di legge seppur affacciando fatti in parte deduttivi e pertanto opinabili. In soldoni: ognuno utilizza le “grida” disponibili ammassate come nello studio del leguleio manzoniano di Lecco. Per dare un esempio della vasta scelta disponibile per i nostri “causicidi”: dal 1861 al 2020, in Italia, sono stati emanati la bellezza di 203mila (!!) atti normativi. Alcuni, riferiti a regi decreti, sono ancora in corso. Che dire? E’ proprio vero che siamo ancora il Paese dell’Azzeccagarbugli!!
*già parlamentare